Bullismo: quando scatta il risarcimento e chi ne risponde – Analisi giuridica
Il bullismo non è solo una devianza sociale o un problema educativo: è un fatto giuridicamente rilevante che può dare luogo a una responsabilità civile e penale. In particolare, le condotte di bullismo – che comprendono insulti, minacce, violenze fisiche, isolamento, diffusione di contenuti umilianti o aggressioni via social – configurano spesso reati quali lesioni personali (art. 582 c.p.), ingiuria (oggi civilmente sanzionata), diffamazione (art. 595 c.p.), minacce (art. 612 c.p.) e atti persecutori (art. 612-bis c.p.).
Dal punto di vista civilistico, la vittima può agire per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, con particolare riferimento al danno biologico (fisico e/o psichico), morale ed esistenziale. La prova di tali danni va data con documentazione medica, psicologica, testimonianze e relazioni scolastiche.
Chi risponde?
I genitori del bullo, se minorenne, in forza dell’art. 2048 c.c., salvo prova di non aver potuto impedire il fatto.
L’istituto scolastico e i docenti, per omessa vigilanza.
Eventuali soggetti terzi, come altri educatori o responsabili di comunità, in caso di bullismo extracurricolare.
Il risarcimento può essere molto rilevante: in alcune pronunce la liquidazione ha superato i 100.000 euro, specie nei casi di danno psichico permanente o tentativi di suicidio. La giurisprudenza più recente valorizza anche l’effetto a lungo termine del trauma subito in età evolutiva.
Infine, in sede penale, la costituzione di parte civile della vittima può rafforzare il potere negoziale nel processo e anticipare una tutela concreta.
In sintesi: il bullismo può costare caro, non solo in termini umani. Chi lo subisce ha diritto a giustizia, chi lo tollera ha il dovere di risponderne.
Perché ignorare non è mai una difesa: è complicità.