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Torino, contagiata in ospedale: “Dovevano curare e proteggere mia mamma, e invece l’hanno uccisa”

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Torino, contagiata in ospedale: “Dovevano curare e proteggere mia mamma, e invece l’hanno uccisa”

Il grido di denuncia della figlia della sig.ra Elena Impavito assistita dallo Studio Legale Arnone
Anno2020
AvvocatoGino MD Arnone

Fonte: Fan Page. 20 APRILE di Gianluca Orrù

Torino, Ospedale Maria Vittoria. Elena Impavito, 69 anni, è in degenza dal 23 novembre dopo una difficile operazione, comincia la riabilitazione a fine marzo, doveva essere dimessa il 1 aprile, ma non sta bene. Nessuno le ha fatto un tampone. Per un disguido la dimissione salta, poi dall’ospedale arriva la telefonata: è positiva al Covid. La signora Elena è morta il 13 aprile.ATTUALITÀ 20 APRILE 2020 12:11di Gianluca Orrù

Non c’è un luogo veramente sicuro dal Covid-19. Non sei al sicuro quando vai a fare la spesa al supermercato, non sei al sicuro quando cammini per strada, non sei al sicuro nemmeno se sei in ospedale da mesi prima dell’esplosione dell’epidemia del Coronavirus. Almeno non a Torino. E’ così che Elena Impavito è stata contagiata, nel reparto di Medicina d’Urgenza dell’Ospedale Maria Vittoria.

Contagiata in ospedale

Elena Impavito non sta bene da qualche tempo ed è stata ricoverata al Maria Vittoria dal 23 novembre 2019 per una patologia respiratoria. Ha bisogno dell’ossigeno 24 ore al giorno. “Mia mamma ha subito due operazioni diverse, in due tempi – spiega la figlia Caterina Zanchi – ed era in reparto da diversi mesi. Aveva però fatto un percorso importante ed era pronta per essere dimessa. Dopo tanto tempo le avevano anche sistemato la valvola che le consentiva di tornare a parlare, le avevo lasciato il cellulare e facevamo le videochiamate”.

La dimissione è alle porte, c’è bisogno di iniziare la riabilitazione. L’ospedale chiede a una RSA, Villa Ida, di accogliere la paziente, ma la richiesta viene negata e così Elena comincia in ospedale il suo percorso di riabilitazione. “Mi ha parlato per telefono e mi ha raccontato come stava facendo riabilitazione – spiega Caterina Zanchi – Usava il girello nella corsia di medicina d’urgenza, il reparto dove era ricoverata. Le avevo detto di stare attenta, di restare nella sua stanza perché in quel reparto c’erano 4 casi di Covid. Per questo ti vogliono dimettere, perché hanno paura che ti infetti”.

Il 1° di aprile le figlie vengono finalmente convocate in ospedale. Il giorno della dimissione è finalmente arrivato, ma c’è qualcosa che non va. “Andiamo in ospedale io e mia sorella, ci danno la mascherina, i guanti, ci misurano la temperatura. Quando entriamo in stanza però vedo che mia mamma era in condizioni disperate – racconta la figlia Caterina – respirava a fatica, si addormentava frequentemente e si accasciava sulla poltrona che le avevano dato per la riabilitazione”.

Nessun tampone: “Non ha i sintomi”

Comincia una discussione con il personale medico, che però insiste con il voler dimettere la madre di Caterina. La dimissione però salta per una questione logistica: non è arrivato lo Stroller, un respiratore portatile che serve per la terapia d’ossigeno domiciliare ed è necessario per il trasferimento del paziente dall’ospedale a casa. Il trasferimento quindi viene annullato, rimandato a due giorni dopo. Prima che le figlie uscissero nuovamente per andare a prendere la madre, arriva però una raggelante telefonata dall’ospedale. La signora Elena Impavito è grave. Inizialmente sembra un problema ai reni, ma il 4 aprile arriva la notizia”.

“Signora, sua madre ha contratto il Covid”
Elena Impavito, in ospedale nello stesso reparto dalla fine di novembre, ha contratto il Coronavirus. Il decorso della malattia è rapido e letale ed Elena muore a 69 anni. Il dolore per la perdita della madre rende la rabbia di sua figlia ancora più grande. “Volevano dimetterla senza farle il tampone, per puro caso tutta la mia famiglia non si è infettata, è una vergogna, dovevano proteggerla e l’hanno uccisa”.

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Il caso è seguito dallo Studio Legale Arnone.

 

 

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